Siamo noi questi mostri ?
Tra Seneca e Shakespeare: il mito e la storia per indagare la natura umana. "Da Tieste a Macbeth" Atreo è invasato dal furor che tormenta la sua stirpe. Le sue parole sono sin dall'inizio impregnate di sangue come lo saranno presto le
di Laura Cesati
Tra Seneca e Shakespeare: il mito e la storia per indagare la natura umana.
"Da Tieste a Macbeth"
Atreo è invasato dal furor che tormenta la sua stirpe. Le sue parole sono sin dall'inizio impregnate di sangue come lo saranno presto le sue mani. La sete di vendetta verso il fratello Tieste ha ucciso ogni altro sentimento: il rimorso, la pietà; anche la ragione non trova più spazio in lui, ma non sono scomparsi, sono tutti sotto i suoi occhi: la voce del cortigiano è la ragione, quella di Tieste la remissività. Questi dopo una vita di esilio in povertà, accettando la mano tesa dal fratello Atreo, si riavvicina al potere e al titolo di re. Berrà di nuovo da quelle coppe d'oro alle quali sembrava avesse rinunciato, dalle quali si beve veleno. Purtroppo egli berrà ben altro...Atreo è rimasto nella sua empietà e il suo sguardo deformante non vede più la realtà come è. Egli vuole trascinare tutti nella perversione a cui è irrimediabilmente destinato. Ecco le sue parole:" mi ucciderà oppure morirà, il delitto è qui in mezzo, tra noi due, per chi ci arriva per primo." Atreo uccide su un empio altare i giovani figli di Tieste, scannandoli con le sue mani come giovenchi. Imbandisce al padre le carni dei figli e gli fa bere il loro sangue mescolato a vino vecchio. Dopo l'orgia di sangue, la tragedia si chiude sulla crudeltà inappagata di Atreo e l'impotente disperazione di Tieste. L'assassino apparentemente non paga per il suo delitto. Il finale è cupo, privo di speranze. Il dramma non è più esterno nei fatti, ma dentro l'uomo, che è solo responsabile delle sue azioni e che trova nella sua coscienza la punizione delle sue colpe. Le apparizioni infernali sono proiezioni del nostro che può scaturire dal cuore umano.
Come non pensare ad un'altra tragedia altrettanto fosca e grondante sangue, dominata dal nero della notte, dal rosso delle stragi e dal bianco dei lampi? Macbeth, di Shakespeare.
Il re scozzese sprofonda sempre più nell'infamia tanto da diventarne l'archetipo, ma la sua presa su di noi non viene mai meno. Perché? Riusciamo ancora in lui a scorgere un barlume di umanità? Forse, ma sopratutto perché è umana la sua infamia: "Stelle spegnetevi ! Non rivelate il nero fondo dei miei desideri. L'occhio non veda ciò che fa la mano. Ma infine avvenga l'atto che, avvenuto, l'occhio inorridirà di vedere". Shakespeare ci mostra gli abissi in cui possiamo precipitare, quando diamo ascolto alla parte peggiore di noi. La tragedia del male, della dannazione si chiude però diversamente: Macbeth viene ucciso e paga con la vita i suoi delitti. La sua sconfitta apre un nuovo capitolo ma nella storia dell'Inghilterra.
Seneca e Shakespeare usano il mito e la storia come pretesto per indagare la natura umana. La colpa ancestrale sembra perseguitare l'uomo oltre le dinastie e le epoche e lo mette alla prova con la tentazione del potere.